Possibile applicazione dei diritti umani
Il primo dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato dell’Unione Europea, firmato a Lisbona nel dicembre 2007 il quale dichiara che i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali.
Emerge il ruolo preponderante del diritto che regola i conflitti, tutela le identità, assicura la protezione delle aspettative legittime, nel rispetto della parità e della dignità delle persone, in cui l’identità è il risultato dell’incontro e della comunicazione, implicante una dinamica dialettica, tra varie identità culturali, sociali, che non sono da intendere come mondi chiusi, autosufficienti, incommensurabili e immodificabili ma disponibili, entro una logica multirelazionale, a generare nuove pratiche di diritto comune nelle quali si inscrive il diritto di relazione.
Queste pratiche, considerano il punto di vista dell’altro, l’autoriflessione e la revisone, all’interno di principi preesistenti, che sono quelli propri dello stato di diritto costituzionale e che devono portare ad un impegno notevole per dare effettività ai diritti umani e fondamentali.
Purtroppo, oggi, il diritto è stato completamente svuotato della sua identità, privo di quell’intima consapevolezza del proprio valore, senza di cui l’esperienza giuridica diviene cieca, non è più se stessa.
Purtroppo, oggi, il diritto è stato completamente svuotato della sua identità, privo di quell’intima consapevolezza del proprio valore, senza di cui l’esperienza giuridica diviene cieca, non è più se stessa.
L’applicazione nichilistica del diritto, nella sua forma positiva necessaria a garantirne la certezza, è diventata l’unico titolo della sua validità, l’unico criterio della sua giuridicità, come strumento per piegare e dirigere l’azione verso qualsiasi avventura, per assicurare validità oggettiva allo stesso arbitrio.
Ecco allora che, a mio avviso, si fa spazio il diritto di relazione. Ritengo che è proprio l’esperienza dell’ingiustizia, derivante dalla sterile applicazione della “norma” che dia vita all’esigenza, nel nostro sistema giuridico civil low, di un diritto teso alla reale espressione dei bisogni delle parti, quale possibilità che si da all’uomo di dare applicazione ai diritti umani e fondamentali.
Infatti, al giurista si chiede di gestire il conflitto applicando la norma ma è soltanto attraverso il diritto di relazione che si apre la possibilità di confrontare dialetticamente le ragioni che suffragano la richiesta di riconoscimento dei bisogni di due o più persone.
Infatti, il fondamento dei diritti umani, riemerge necessariamente nella fase interpretativo-applicativa dei bisogni delle parti confliggenti, riconoscendo tuttavia che il disaccordo non verte sui diritti umani, ma sulla priorità degli uni rispetto agli altri.
Il diritto di relazione dà alla pura applicazione della norma quella voce che essa ha perso ai nostri tempi.
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