Il "mito" del cambiamento

Ade e Persefone convitanti - pittura etrusca IV sec. a. C.
Da sempre sono affascinata dal mito di Persefone, archetipo della fertilità, giovane dea, figlia di Demetra, che è costretta negli inferi per aver mangiato il melograno, altro simbolo mitologico della fecondità, della sessualità e, al contempo, della morte.

Tale archetipo mi traspone al pensiero della difficoltà al cambiamento per noi “umani”, avendo bisogno, come Persefone di raggiungere le profondità della terra per un tempo o per più tempi, dove su, in superficie, sembra tutto arido e invernale, per poi giungere, in una lotta tutta personale (e nel contempo con-divisa con chi ci accompagna in tale percorso), a ri-crearci e ad essere fecondi nella vita personale, nella socialità, dove finalmente scorgiamo la primavera.

Come non riportare allora il pensiero al post precedente, dove poteva quasi sembrare superficiale e banalizzante parlare di per-dono per l’altro che ci ha tradito, ci ha rinchiuso nelle profondità della terra, ha vilipeso la nostra dignità, per poi riconoscerci capaci di farci aiutare da un terzo, che entra nella nostra sofferenza, senza tuttavia farne parte, per farci risalire la china della fertilità.

Ed è proprio come Persefone, dea sterile per gli dei e per gli uomini, che giunge il cambiamento, il riconoscersi esseri creati e creativi. Riusciremo ad alzarci in piedi soltanto quando ci riconosceremo persone responsabili della nostra vita, delle nostre scelte, della capacità di per-donare, di dare in dono i frutti della terra, i nostri frutti, e di essere responsabili per l’altro: l’uomo e la donna “sorgono” dalla terra, dal buio, dalla sofferenza, come esseri generanti a loro volta benessere.

Il mio pensiero va e quegli uomini e quelle donne che hanno ritrovato il loro equilibrio, dopo aver superato la tempesta della separazione, del disagio legato al lutto rispondente alla consapevolezza di essere “morti” alla vita precedente cui, pur con tutte le difficoltà, erano legati, seppur soffocati, per poi scorgere finalmente una finestra che apriva alla possibilità di ri-animarsi e di essere generatori di vita per chi li circondava, con i figli (impastati e a volte travolti da quei cambiamenti che passavano da ferite aperte), nel luogo di lavoro, nella collettività.

Tuttavia, tale cambiamento potrà avvenire, il più delle volte, con chi ci aiuti a partorire quell’uomo e quella donna ri-creato/a che auspichiamo di diventare, al professionista che, quale maieutico, ci porti a “partorire” le nostre risorse, le nostre potenzialità.

Pertanto,  riflettendo sul post “Violazione della dignità umana”, il progetto del per-dono passa per vie perigliose e complesse che spesso non saremo in grado di gestire da soli.

Fortunati quando, pronunciando la fatidica frase “vado dall’avvocato”, troveremo un professionista che si faccia portatore dei nostri interessi, dei nostri bisogni, non soltanto contingenti, dettati dal legittimo desiderio del “risarcimento” del danno subito, ma anche dalla necessità di guardare insieme alla possibilità che le scelte strategiche, prese di comune accordo con il nostro avvocato “di fiducia”, si rivelino apportatrici di benessere futuro per noi e per chi ci sta accanto.

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