Affidamento alternato e sua disciplina nelle coppie di fatto

"Le Gourmet"  Picasso
Cari lettori, condivido con voi il mio articolo pubblicato su "Questioni di diritto di famiglia", Maggioli Editore:

Nel caso che si commenta qui, il Tribunale di Foggia, con rito camerale, veniva chiamato a decidere in merito al ricorso 317-bis c.c. proposto da genitori non coniugati e che non avevano convissuto more uxorio; dalla loro relazione erano nate due figlie minorenni, riconosciute da entrambi i genitori. 

In definitiva, l’affectio nella coppia è cessato ed il padre, per motivi di lavoro, era portato a viaggiare anche all’estero, tanto che, a parere dei ricorrenti non sarebbe stato in grado di essere presente nella vita delle figlie e di partecipare alle loro scelte vitali, tanto da voler optare per l’affidamento esclusivo a favore della madre.

Pertanto, i ricorrenti, regolamentando l’affidamento delle figlie, chiedevano al Tribunale di prendere atto dei loro accordi e, quindi, di omologarli. Nel caso che si commenta qui, il Tribunale di Foggia, con rito camerale, veniva chiamato a decidere in merito al ricorso 317-bis c.c. proposto da genitori non coniugati e che non avevano convissuto more uxorio; dalla loro relazione erano nate due figlie minorenni, riconosciute da entrambi i genitori. In definitiva, l’affectio nella coppia è cessato ed il padre, per motivi di lavoro, era portato a viaggiare anche all’estero, tanto che, a parere dei ricorrenti non sarebbe stato in grado di essere presente nella vita delle figlie e di partecipare alle loro scelte vitali, tanto da voler optare per l’affidamento esclusivo a favore della madre. Pertanto, i ricorrenti, regolamentando l’affidamento delle figlie, chiedevano al Tribunale di prendere atto dei loro accordi e, quindi, di omologarli.

Il Tribunale ha ritenuto che la domanda dei coniugi non potesse trovare accoglimento, in quanto, secondo l’art. 155 c.c. il figlio minore ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e tale articolo deve trovare applicazione altresì rispetto alle coppie non coniugate, come nel caso di specie, per il rinvio operato dall’art. 4 della legge n. 54 del 2006. In particolare, il giudice deve tenere conto degli accordi tra i genitori, qualora essi non siano contrari all’interesse dei minori, e stabilisce l’affido esclusivo, con provvedimento motivato, ex art. 155-bis c. c. soltanto qualora quello condiviso sia contrario all’interesse del minore, tanto che l’affido condiviso è divenuto la regola ( ). 

Nel caso in esame, si ritiene dunque che nulla osti all’affidamento bigenitoriale in quanto la distanza tra i genitori non è tale da pregiudicare la condivisione delle scelte più importanti dei genitori per le figlie. Tale decisione camerale è motivata dall’assunto che la potestà genitoriale è una situazione giuridica complessa indisponibile, e che, pertanto, altre a risultare un diritto, rappresenta anche un dovere/obbligo per i genitori che la legge impone loro di rispettare in nome del superiore interesse dei figli. 

 Il diritto del minore di mantenere una stabile relazione con entrambi i genitori è solennemente affermato nella convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176 che, all’art. 9, sancisce il diritto del fanciullo di non essere separato dal genitore affidatario, e di intrattenere con l’altro regolare rapporti. 

Tale disposizione è stata recepita in Italia proprio con la legge sull’affido condiviso n. 54 del 2006, che ha regolato i rapporti tra genitori e figli stabilendo il diritto della prole a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, anche nel caso in cui si separino, ed il diritto a ricevere cura, educazione, istruzione da entrambi. 

La disposizione suddetta si applica in caso di separazione, di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. In relazione alla domiciliazione del figlio presso uno dei genitori, il giudice deve comunque assicurare, in difetto di specifiche situazioni ostative, il mantenimento della relazione tre il genitore ed il minore non domiciliato con lui ( ) con la cooperazione del genitore domiciliatario, pena la decadenza della potestà genitoriale. ( ). E’ bene precisare che, in questo contesto, non si parla di “collocamento” dei figli, in quanto la riforma del 2006 non contiene una espressa disciplina in materia di “collocamento” del minore. 

La novità operata dalla legge sull’affido condiviso n. 54 del 2006 ha inteso valorizzare l'esigenza del figlio minore di continuare a godere, anche nelle ipotesi di crisi coniugale, di un intenso rapporto con entrambe le figure genitoriali, senza con ciò fornire indicazioni in ordine al “collocamento” della prole presso l'uno o l'altro genitore. Infatti, l’art. 155 c.c. si limita a riconoscere il diritto del figlio “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitori”. 

L’affido condiviso si propone come nuovo modello di assunzione di responsabilità e di esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori, e che, soprattutto, esula da valutazioni e contenuti quantitativi relativi al tempo di permanenza della prole presso ciascun genitore, o di misura e modo della contribuzione genitoriale. Si afferma, infatti, sia in dottrina che in giurisprudenza che l'affidamento condiviso non consiste nella pari suddivisione fra i genitori del tempo di permanenza con i figli, bensì, soprattutto nell' assunzione condivisa della responsabilità e delle scelte genitoriali (almeno quelle più importanti e non, come potrebbe pensarsi comunemente “dalla condivisione dell’affidamento”, quindi di tutte le decisioni, anche le più banali, da prendersi nell’interesse della prole) e nel mantenimento e nella partecipazione di entrambi alla cura e alla educazione dei figli ( ).

L’affidamento condiviso mutua dall’affidamento congiunto soltanto la soluzione di casi non conflittuali, il cui accordo è stato raggiunto, ma non impedisce affatto l’esercizio della potestà genitoriale separatamente, e ciò in caso di insanabile disaccordo. Tale modalità di affidamento, a differenza di quello esclusivo, consente tutta una varietà di sfumature adattabili alle mutevoli esigenze del minore ed introduce, altresì, una flessibilità temporale che l’affidamento esclusivo non permette ( ). 

Pertanto, se la conflittualità tra i genitori, filtrata attraverso le loro capacità individuali, non può costituire motivo di diniego dell’affidamento condiviso, a maggior ragione la distanza territoriale tra i genitori, nel caso di specie, non preclude il maggior interesse delle minori. In tal caso, la soluzione bigenitoriale migliore è costituita senz’altro dall’affido alternato, individuato dall’art. 11 legge 6 marzo 1987, n. 74. Il legislatore non ne ha dato una definizione, che può essere invece ricavata dalla giurisprudenza la quale, nell’orientamento più rilevante, rileva che l’affido alternato comporti il “vantaggio pratico di rimettere le decisioni ordinarie e quotidiane ad un solo genitore, evitando così che il delicato equilibrio raggiunto dalla coppia possa infrangersi sul contrasto in ordine ad una qualche scelta di minore importanza, fermo restando che le decisioni di maggiore interesse per il figlio vanno assunte di comune accordo” ( ). 

Nel caso di specie, l’affidamento alternato viene ritenuta senza dubbio la tipologia di affidamento bigenitoriale più rispondente all’interesse prevalente del minore ad una crescita serena ed equilibrata, in applicazione degli artt. 30 e 31 della Costituzione. Per quanto riguarda la competenza dell’organo giudicante, la riforma operata recentemente dalla legge 10 dicembre 2012 n. 219 (“Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali”) introduce una condizione unitaria di figlio, senza distinzione nominale o sostanziale tra le varie categorie di figli. La legge suindicata ha rivoluzionato la disciplina della filiazione, proclamando solennemente che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” (nuovo art. 315 c.c.). In realtà permangono criticità che non assicurano tale possibilità, in quanto sussiste il trasferimento di competenza a gestire l’affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio, dal tribunale per i minorenni, al tribunale ordinario, divenendo unico l’organo competente a decidere in merito ai figli nati sia nel matrimonio, sia al di fuori dello stesso. 

Ebbene, il legislatore ha regolato la disciplina processuale del mantenimento e dell’affidamento della prole, in seguito alla separazione dei genitori, secondo due strumenti processuali diversi: per i “figli nati fuori del matrimonio” (già figli naturali), sussiste il ricorso al rito camerale puro ex art. 737 e ss. c.p.c.; per i “figli nati nel matrimonio” (già figli legittimi), il procedimento ordinario speciale di cui agli artt. 706 e ss. c.p.c.. Si pone il problema della discriminazione tra figli aventi gli stessi diritti, che, tuttavia, vengono disciplinati in maniera differente, in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della nostra Carta costituzionale. 

Infatti, i figli di genitori non coniugati, non hanno diritto ad un procedimento speciale appositamente disciplinato e, per contro, il rito camerale, nella sua assoluta informalità, non prevede un’attività istruttoria con tempi e regole ben definiti, con il rischio del dispiegarsi di un processo eccessivamente sommario, proprio in un ambito in cui gli interessi coinvolti sono particolarmente delicati. Si tratta, tuttavia, di una fase provvisoria, in attesa dell’attuazione della delega legislativa (art. 2 l. n. 219 del 2012) che ha lo scopo, per l’appunto, di eliminare ogni discriminazione tra i figli ( ).

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